domenica 26 agosto 2018

Jalovec 2.645 m - Traversata, Cresta NW/Via Normale

"Non cercate nelle montagne un'impalcatura per arrampicare, cercate la loro anima"
Le più celebri parole di Kugy mi scorrono nella mente, ripetendosi come un monito, mentre con Riccardo risalgo la Val Planica verso il Rifugio Tamar. Oggi percorreremo un anello affascinante che ci farà compiere la traversata dello Jalovec, splendida montagna appena oltre il confine sloveno nelle Alpi Giulie.
Partiamo alle 7:15 dal parcheggio e ci incamminiamo seguendo una comoda forestale e giungendo in una mezz'oretta al Rifugio Tamar, da qui parte l'unico sentiero che porta ai ghiaioni, snodandosi dapprima per un bosco e percorrendo la Val Tamar. La cima dello Jalovec svetta già maestosa dall'oscurità del fondovalle: una punta di diamante perfetta che si staglia nel cielo già candida e luccicante come vuole la migliore roccia delle Giulie quando colpita dal sole. Siamo soli, due piccoli punti nella natura selvaggia: le pareti circostanti ci avvolgono come grida di pietra così verticali e incombenti, del tutto repulsive, mentre là in fondo la luce. La severità di questo ambiente per nulla bucolico ti entra dentro nello stomaco, quando ti ha conquistato non c'è verso di dimenticarselo. Guardando a sinistra dalla cima principale si apre quella linea magica del Colouir Kugy, ancora innevato, una discesa da sogno ancorchè non estrema ma così estetica che spero di poter sciare presto anche io...L'evidente spigolo Comici poco a destra così elegante e ardito la linea più logica per la cima invece lo osservo in religioso silenzio, con quel sapore amaro di sapere di non avere i mezzi per affrontarlo e allo stesso tempo, con quella solita vena di speranza di poter realizzare un giorno il sogno. Un'evidente indicazione su un grosso masso indica il bivio per risalire al "Veliki Kot". Prendiamo la traccia di destra per evitare una tediosa salita su ghiaione, la traccia arrampica con stretti zig-zag un pendio prativo esposto e ricco di mughi che fa guadagnare in pochissimo tempo parecchia quota.
In breve sbuchiamo sul pianoro roccioso sommitale dove rinveniamo il bivacco, sfiliamo in fianco ad esso optando per una sosta direttamente sulla forcella Kotovo Sedlo a circa 2100m. Dalla forcella camminiamo sulla cresta che in breve conduce alle pareti, giunti in prossimità delle stesse ci imbraghiamo e sempre seguendo i bolli troviamo le prime attrezzature. Risaliamo quindi la cresta Nord Ovest, sempre a destra della stessa: il percorso sfrutta in maniera intelligente i punti deboli della montagna, d'apprima si aggirerà il "Piccolo Jalovec"per poi spostarsi sulla cima principale muovendosi con lunghi traversi e risalite di balze rocciose con ottima roccia, pochissime protezioni quasi sempre solo qualche piolo e corda quasi assente come vuole la migliore tradizione slovena (Aspetto che di certo non rende la salita propriamente alpinistica, ma comunque molto appagante). Si raggiunge un'ultima paretina dove confluisce anche la via normale e che punta direttamente alla cresta finale e quindi alla cima.
Il panorama è meraviglioso, il Mangart ci mostra il suo lato più nascosto e segreto: un gigantesco blocco di roccia e prato con i versanti che dalla cima precipitano letteralmente in Val Coritenza, spostando lo sguardo più a Ovest i Gruppi del Montasio e del Fuart soprattutto, più a sinistra ancora il gruppo del Canin, la Cima del Lago e il monte Rombon, in primo piano più a sinistra la dorsale che costituisce le pareti di Bretto (Loska Stena) su cui si snodano ardite vie realizzate veramente dai più forti rocciatori, poi ancora volgendo lo sguardo a Sud le Prealpi con il Matajur e il Joanaz e a seguire il Krn, a completare il giro muovendosi verso Est le più importanti cime slovene: Triglav e Škrlatica che dominano un aspro susseguirsi di creste e strette vallate. C'è un bel sole ma tutto sommato non fa caldo. Dopo una giusta pausa ci mettiamo in marcia per la discesa che seguirà la via normale (I-II grado, da relazione del Buscaini), ridiscendendo prima la cresta Sud, molto panoramica, alla fine della stessa ci si butta giù a sinistra per una paretina più delicata (terreno più infido ed instabile: sassolini, verdi..). Guadagnati i ghiaioni dobbiamo scavallare la forcella sbucando sul ghiaione seguente dove parte il canalone Kugy. Ovviamente non scendiamo il canalone perchè siamo senza ramponi, per rientrare ci si deve buttare giù a destra seguendo un'indicazione con scritto Val Trenta, per aggirare il "Golicica": si seguono i bolli che fanno abbandonare il ghiaione ad un certo punto e portano a scendere una parete di un centinaio di metri (evidentemente per evitare di far perdere troppa quota aggirando il contrafforte su cui la stessa si sviluppa). Parete attrezzata solo con pioli con due tratti di corda in basso quando in realtà ormai le difficoltà sono finite: da non prendere sottogamba in quanto l'esposizione è notevole e non si è mai ancorati alla montagna. Giunti sul ghiaione risaliamo di qualche decina di metri alla forcella sulla nostra sinistra "Jalovška škrbina" e da qui scendiamo infine sul ghiaione iniziale arrivando in corrispondenza dell'uscita del canalone Kugy, anche qui traccia e poi pioli, presenza di neve in uscita. Il ghiaione finale che ci riporta al bivio di partenza purtroppo non è come quello del Montasio e la sua discesa è alquanto faticosa, sembra non finire mai! Da qui il comodo sentiero ci accompagna verso il rifugio, ormai anche la pendenza si riduce molto. Giunti al Rifugio Tamar è d'obbligo una bella pausa birra, due Lasko da mezzo a 2,5 euro l'una fanno apprezzare il fatto di trovarsi oltre confine: ovviamente non vedevo l'ora di sfoggiare anche il mio sloveno salvo non sapere come si dice "due" e obbligandomi a sostituirlo con un più familiare "two"!
Contenti e appagati per la bella giornata ci rimettiamo in moto alla volta della macchina contenti per quella che non è un'impresa, ma senz'altro una gita che meritava di essere raccontata.
"..cercate la loro anima" diceva il vecchio Kugy. Quello di oggi è stato un viaggio di emozioni mai spente, un viaggio dove i passi si confondono con i pensieri e i ricordi per riaffiorare sulla distanza di un orizzonte, "..cercate la loro anima", perchè dopo la salita, oggi, c'è la luce più bella.
...Alla prossima sperando prima o poi di ricominciare a raccontare anche qualcosa di roccia verticale!

Punta di Finale (Fineilspitze) - 3516m, Traversata Cresta NE/SW

Siamo nelle Alpi Venoste altrimenti note come "Oetztaler Alpen", qui si snoda la cresta di confine tra Alto Adige e Tirolo, oltre a costituire parte della dorsale alpina principale. Quest'anno partecipo al corso AG1 della scuola Celso Gilberti per la prima volta in qualità di istruttore sezionale e quindi questa gita rientra in questo contesto nuovo per me in cui sto imparando a muovermi e crescere.
Ovviamente la didattica viene prima di qualsiasi altra cosa, ma a differenza del WE precedente che abbiamo passato in Adamello questa volta c'è la seria intenzione di concludere il corso in bellezza con la salita ad una bella cima. Giunti a Maso Corto prendiamo l'impianto che porta in cima al ghiacciaio della Val Senales salendo a più di 3200m. Da qui scendiamo per sentiero per poi salire sul ghiacciaio dell'Hochjocjferner tenendoci più ad Est dell'area sciistica, dopo gli skilift aggirando la Schwarze Wand la lingua glaciale che scende dai Fineil Koepfe si presenta più ripida e costituisce il terreno ideale per il corso. Il ghiacciaio con grande dispiacere di tutti si presenta in grandissima sofferenza, chissà se tra 10 anni potremo fare qui ancora il corso di ghiaccio, preoccupazione se vogliamo di ben poco conto rispetto alle conseguenze invece ben più gravi del surriscaldamento globale. Trascorriamo la giornata ripetendo tanti argomenti già affrontati: tecnica di passi con i ramponi, calate, paranchi, recupero da crepaccio e verso sera ci dirigiamo al sottostante rifugio Bellavista dove pernottiamo. Dopo la cena e un breve confronto con gli altri conveniamo di fare per il giorno seguente la gita alla Punta di Finale. La Punta di Finale o Fineilspitze è ben visibile dal rifugio, è particolarmente nota perchè a ridosso della stessa nella sella che divide quest'ultima dal Similaun è stato trovato negli anni 90' Oetzi, la mummia del Similaun, ora protagonista dell'omonimo museo a Bolzano. La via normale risale la cresta NE, quindi dalla nostra posizione dovremo spostarci sul lato più lontano da dove ci troviamo, la cresta presenta passaggi di I grado (e volendo cercarlo anche di II). Per la discesa scenderemo lungo la cresta SW che generalmente si sfrutta per lo scialpinismo, la difficoltà di quest'ultima è espressa come "roccette". Lasciamo il rifugio intorno alle 5 di mattina per andare a prendere una traccia con passaggi attrezzati che risale un'isola rocciosa che divide il ghiacciaio sommitale che scende dalla cima in due lingue. Si passa di qua in quanto quella occidentale alla base della quale il giorno prima abbiamo fatto le esercitazioni, si presenta salendo molto ripida e crepacciata, tutto è segnato con comodi bolli e ometti. Le prime cordate tra cui la mia giungono alla base delle rocce con qualche minuto di vantaggio sull'ultima; quando anche questa finalmente arriva in vista notiamo la presenza di un componente in più: slegato, senza attrezzatura e...a 4 zampe!! Una delle caprette che sostano nei paraggi del rifugio, complice forse qualche corsista che le ha offerto del sale la sera prima, ha deciso di seguirci...
Sbuchiamo a 3144m dove arriviamo su ghiacciaio, ci leghiamo e puntiamo sempre muovendoci verso Est all'evidente cresta Nord della nostra cima che dovremo scavalcare per poi puntare all'Hauslabjoch. Io sono con Alessandro e Marco e Beeerto, sì il nostro ospite a 4 zampe! Il passaggio per scavalcare la cresta nord prevede di risalire su roccia una decina di metri, un passo solo di I-II grado ma abbastanza alto, tanto che sbucati noi sulla sommità, la nostra capretta sembra trovarsi in difficoltà (su questo saremo però smentiti). Non la vediamo arrivare ma decidiamo di proseguire, ci portiamo su ghiacciaio scendendo prima di un centinaio di metri sulla cresta per prendere una comoda dorsale nevosa che aggirando i crepacci ci metterà sulla direzione giusta per il già visibile Hauslabjoch. Io ho passato una notte d'inferno al rifugio dove complice un gran caldo nella camerata non ho praticamente chiuso occhio...infatti l'Hauslabjoch passo dopo passo, sembra davvero non voler arrivare mai e sento anche la palpebra cadere. Non arriviamo proprio fino alla forcella ma ci teniamo più a destra dove raggiunta la prima cordata del nostro gruppo ci prendiamo un pò di pausa. Da qui guardando verso Sud è ben visibile il cippo di pietre sul luogo di ritrovamento di Oetzi. Da qui girandomi indietro vedo arrivare la terza cordata con Beerto! Insomma la nostra mitica capretta ce l'ha fatta! Iniziamo quindi a risalire in conserva la cresta e a tratti iniziamo a mettere un pò giù le mani, cosa che rende la progressione molto più piacevole e interessante della tutto sommato monotona e noiosa pestata di neve fatta fino a quel momento. Anche la terza nostra cordata si sta muovendo sulla cresta. La roccia è ottima bei blocchi solidi, con tanti spuntoni e fessure, facilissima e agevole da proteggere, solo il meteo non è esattamente dalla nostra. Quando tocchiamo la cima e le tre cordate si ricompattano la visibilità è decisamente bassa e inizia pure a nevicchiare timidamente.
Senza troppi indugi, previo qualche foto (che riporto qui prendendola dalla pagina Facebook della scuola) con i partecipanti e....la capretta...iniziamo la discesa. La cresta SW è molto corta e semplice, giunti su una sella dove verso nord parte un canale nevoso, mentre la cresta si eleva di nuovo scendiamo verso il ghiacciaio proprio sfruttando il canale. Qui troviamo le due cordate mancanti che non hanno fatto la traversata. Ritorniamo sull'isolotto roccioso dell'andata, ci sleghiamo e scendiamo verso l'Hochjoch. Da qui breve risalita al rifugio, Beerto è stanca ma completerà anche lei la traversata della Punta di Finale arrivando al Bellavista sana e salva. Il meteo pur mantenendosi variabile è intanto anche migliorato ed è uscito il sole. Una volta ricompattato il gruppo dopo una dovuta pausa in cui non ho potuto fare a meno di togliere i maledetti scarponi (dolore allucinante ai piedi), scendiamo per il sentiero e poi per la pista da sci che portano a Maso Corto. Nonostante sia più tardi di quanto previsto una volta che tutti si sono ricomposti, decidiamo di andare a concludere il corso con una bella mangiata al Biergarten della Forst poco prima di Merano.

martedì 1 maggio 2018

Weekend al Pizzini, (quasi) senza cime

Eh già, eravamo partiti con tanta attrezzatura e piani sulla carta ambiziosi, poi un pò il meteo e un pò una crescente ancorchè positiva coscienza di sicurezza ci hanno fatto desistere dal realizzare ciò che avevamo in mente. Non importa se la Nord Ovest del Pasquale l'abbiamo solo guardata, nè se abbiamo interrotto la salita al Gran Zebrù, sono stati comunque tre giorni dove belle salite e discese da favola non sono mancate. Parto da Solda nel Sabato con Andrea accorciando la salita con l'impianto che porta all'area sciistica sul ghiacciaio, pelliamo e risaliamo a Cima Solda a 3376m, da qui cerchiamo una linea di discesa verso il rifugio Pizzini, ci dirigiamo verso il Casati e iniziamo a ridiscendere il sentiero estivo per un paio di tornate con gli sci in spalla, poi individuiamo un bel pendio invitante sulla nostra destra, infiliamo gli sci e scendiamo su neve trasformata forse già un pelo troppo pesante il pendio di buoni 40° che arriva diretto ai laghi di Cedec, quindi con un pelo di spinta raggiungiamo il rifugio.
Al rifugio facciamo subito conoscenza con diverse persone, ci sono due gruppi del Cai ma in particolare troviamo due scialpinisti veneti con cui divideremo anche la stanza al tavolo per cena, di fatto parte l'idea di provare a fare il Cevedale insieme il giorno dopo. La mattina di buonora ma non troppo presto lasciamo il rifugio con un meteo tendente al pessimo, ha nevicato nella notte 6-10cm ma è nevaccia bagnata, la visibilità è scarsa, risaliamo la vedretta di Cedec puntando al colle che divide il Cevedale dal Monte Pasquale. Purtroppo da qui la salita al primo è condizionata dall'individuare il punto di passaggio tra due grosse serraccate che a causa della poca visibilità non possiamo individuare, raggiungiamo un gruppo numeroso del Cai, anche loro un pò "smarriti" nella nebbia, decidiamo di unire le forze e risalire al colle che diventerà anche meta finale della gita. Anche la salita al colle presenta alcuni grossi crepacci a cui bisogna prestare molta attenzione specie in fase di discesa. Nel gruppone si uniscono anche altri due ragazzi lombardi con cui ridiscenderemo al Pizzini, mentre il grosso gruppo punterà a raggiungere in discesa il Rifugio Branca sull'altro versante. Arriviamo al rifugio senza cima ma con una bella discesa nonostante le condizioni avverse. Dopo una birra e il pranzo osservando un leggero miglioramento del meteo propongo ad Andrea una giterella pomeridiana con il pretesto di fare ancora un pò di movimento e una piccola discesa. Partiamo convinti direzione Passo di Zebrù Nord, ma appena dopo un 20 minuti le nuvole si abbassano di nuovo e ci avvolgono come non bastasse inizia a nevicare di nuovo. Beh noi ci avevamo provato...non ci resta che scendere un pò demoralizzati e concludere il pomeriggio a briscola. Per il Lunedì è previsto un netto miglioramento a partire dalle 8 del mattino, con temperature basse. Ci svegliamo con visibilità assente e la cosa ci secca alquanto, tra l'altro ha nevicato, nei pressi del rifugio si sono accumulati almeno 15-20cm di fresca. Nessuno dei gruppi si azzarda ad uscire, noi ad un tratto vediamo un piccolo buco nelle nuvole che ci convince del miglioramento incombente del meteo. Quindi partiamo decisi per il Gran Zebrù. Usciamo e battiamo traccia per risalire la Vedretta del Gran Zebrù e giungere al collo di bottiglia aggirando sulla sinistra un grosso avancorpo isolato di cui non ricordo il nome. Percorriamo tracciando questa parte di avvicinamento ad un buon ritmo, in un'ora siamo all'attacco, ci giriamo e vediamo dietro a distanza di 30-40minuti una carovana umana che segue comodamente la nostra traccia. All'attacco del collo di bottiglia tira un vento pazzesco, già in avvicinamento avevamo visto tutte le creste e la parete della normale spazzate da forti folate. Io il Gran Zerbù l'ho giù scalato ed è una montagna per cui porto un grande rispetto: con quel vento non è una buona idea percorrere l'affilata cresta sommitale.
Decidiamo che è il caso di chiudere la gita risalendo il colle delle Pale Rosse e da lì godersi una gran discesa su neve che promette un divertimento incredibile. Senonchè risaliti e giunti al colle, quando ormai anche i primi dei gruppi sbucano sul pianoro per attaccare il Col di Bottiglia notiamo che il vento sta calando, pertanto decidiamo che forse vale la pena provare a salire il nostro obiettivo. Scendiamo dal colle in diagonale in leggera discesa fino alla base del ripido cono nevoso che porta alla strozzatura del Col di Bottiglia che risaliamo con strette serpentine sci ai piedi, ormai però il canale è intasato a decine di persone che lentamente si accingono a percorrerne la parte più ripida sci in spalla. Il vento in realtà non è calato affatto e continua a sferzare con forza, a quel punto un pò demoralizzati dalla coda e dal vento ritorniamo sui nostri passi: calziamo gli sci e ci buttiamo giù a capofitto in una sciata da urlo fino al rifugio: neve fantastica, a quella quota ci saranno stati 30-40cm di zucchero, ci dimentichiamo subito del fatto che la montagna ci ha "respinto" e contenti in breve giungiamo al Pizzini. Qui decidiamo che per tutta una serie di motivi, non ultimo il meteo che promette solo una piccola finestra di sole per il giorno successivo, di rientrare Solda. Ci beviamo un'ultima radler e dopo i primi 8-900 metri di dislivello mattutini, ripartiamo per risalire al rifugio Casati, quindi per altri quasi 600m. L'ultima parte della salita al Casati ricalca il sentiero estivo, esposto e delicato, specie perchè il vento è protagonista anche qui, le sferzate sono veramente notevoli, il che ci conferma di fatto che non è stata affatto una cattiva idea rinunciare alla cima, scelta prudenziale sì, ma credo che questo dimostri anche una certa maturità e che la rinuncia a volte sia la vera conquista. Giunti nei pressi del rifugio il vento è così forte che quasi non riusciamo e tenere alzata la testa: entriamo per bere un caffè e ripararci qualche minuto: in compenso il sole è protagonista nel cielo, limpido e azzurro, con le cresta delle cime che fumano, panorama mozzafiato.
Ripartiamo e decidiamo di evitare la Cima di Solda che impone qualche tratto in cresta, quindi un pò esposto e la aggiriamo sulla destra per raggiungere la forcelletta che scollina sul ghiacciaio sul lato alto atesino, più o meno alla quota stessa del Casati, in realtà prima se ne perde un pò e poi si risale in diagonale cercando di rimanere alti tagliando il fianco orientale di cima Solda. Appena passata la forcella siamo sul lato riparato: il disturbo eolico cessa di colpo, ci possiamo sedere un attimo, tirare un pò il fiato (di fatto abbiamo percorso 1500m di dislivello complessivi, già una discesa di 800m e almeno 10km di sviluppo!), beviamo qualcosa e ci godiamo un pò le cime, pregustando una discesa che promette faville. Calzati gli sci ci buttiamo giù sul ghiacciaio di Solda trovando lunghi tratti di neve da cineteca che godiamo al massimo raggiungendo in breve la fine del ghiacciaio e quindi la pista da sci che porta alla stazione intermedia. Ancora una foto con il nostro obiettivo che ci ripromettiamo di realizzare anche a breve se ci saranno le condizioni e quindi via fino al parcheggio quasi sempre sci ai piedi su neve ormai bagnaticcia. Concludiamo un we non perfetto ma allo stesso modo bellissimo con una notevole e meritata mangiata al Biergarten della Forst che purtroppo quando si viene da ste parti è proprio sulla via del rientro! Alla prossima.

domenica 8 aprile 2018

Rissa del Daint - Sella, Dolomiti - Sci Ripido

Poche ma buone, recitava il motto...nonostante un anno molto nevoso questa di fatto è stata anche l'unica discesa della stagione che valga la pena di raccontare: non che non ci siano stati altri momenti belli nei mesi scorsi ma mai paragonabili a questo, sia per l'impegno della sciata che per la bellezza selvaggia del contesto in cui si svolge. Questa volta sono con Andrea e Riccardo: è il primo WE che riusciamo dopo la pausa natalizia a fare qualcosa insieme, di mezzo c'è stato anche il corso di scialpinismo che ha visto per la prima volta partecipare sia me che Riccardo come istruttori. Di fatto è stato per questo motivo un inverno diverso ma anche molto interessante e appagante. Decidiamo di dormire a La Valle in Bassa Badia, trovando all'ultimo minuto un appartamentino a poco prezzo...Nonostante siamo in giro con due auto, la mia e il California di Andrea dove potremmo per inciso dormire: sarà l'età che avanza e che ci fa scoprire i piaceri della comodità? Io spero di no, ma questa volta è andata così!
Partiamo Sabato mattina non troppo presto e ci dirigiamo verso il Passo Pordoi: non c'è una nuvola in cielo e il sole splende, situazione magnifica ma che ci lascia perplessi per la tenuta della neve specie a Sud. Saliti al Sass Pordoi con l'idea di fare un canale per scaldarsi un pò prima di traversare per andare a guadagnare l'attacco della Rissa, ci rendiamo conto che fa già molto caldo anche a 2900m. Decidiamo quasi subito di dirigerci già verso il nostro obiettivo onde evitare di far troppo tardi. Come tutti i canali Nord del Sella, l'avvicinamento prevede di scendere verso la Forcella Pordoi per poi traversare dietro le cime Joel e Larsei, pellare e dirigersi verso il Rifugio Boè, dietro lo stesso si risale un pendio per tuffarsi in un tratto di discesa un pò più ripido che solitamente "impone" almeno la chiusura degli scarponi e degli attacchi.
Alla base dello stesso una lunga diagonale verso sinistra conduce alle varie Val Setus, Culea e al Miara, per guadagnare l'attacco della Rissa bisogna invece puntare alla Sella de Tita e per far questo si deve guadagnare la sommità dei pendii che vediamo alla nostra destra, imboccata la Val de Tita ci si deve infilare nel vallone che compare a destra e che porta direttamente all'imbuto della Rissa, continuare la discesa a sinistra consentirebbe invece di ricollegarsi poi più in basso alla Val Setus.
In discesa troviamo neve perfettamente godibile fino all'imbocco della Rissa. Entrati nella parte ripida qualche fastidioso accumulo laterale impone alcuni tratti in derapata stando al centro e a sinistra dove il pendio scarica in continuazione al nostro passaggio: non abbiamo trovato zucchero ma essendo ad Aprile non ci lamentiamo, nel complesso il canale è stato comunque sciabile. La pendenza è a mio avviso più continua e sostenuta dell'Holzer e il canale stesso è anche generalmente più stretto di quest'ultimo, motivo per cui trovo giusto valutare questo 5.1 mentre un 4.3 meglio si addice all'Holzer, ma è un'opinione personale: dato il massiccio innevamento non abbiamo dovuto fare alcuna calata come generalmente necessario.
Non è stata la mia sciata più estrema, ma dal momento che ero un pò a corto di ripido ero curioso di vedere come mi sarei comportato a distanza di qualche anno sui 50°...e tutto sommato, complice forse il fatto che la vita in Alto Adige mi ha fatto sicuramente vivere maggiormente lo sci rispetto agli anni in Germania, posso ritenermi soddisfatto! Peggio è la mia generale condizione di "forma" fisica in termini di gambe e fiato, ma su questo mi sono trovato in buona compagnia!
Usciti dal canale ci troviamo in Val de Bosli e vediamo poco più in basso la Val de Mezdì, qui cambia anche la neve: crosta nei tratti che hanno preso meno sole, neve trasformata nei tratti più soleggiati. Scendiamo in fondo alla Val de Mezdì e qui nell'ultimo tratto aratissimo la neve è ancora paragonabile al cemento. Sbuchiamo sulla pista da sci presso Colfosco. Qui facciamo una pausa per un brindisi e quindi avendo preso il giornaliero Superski rientriamo percorrendo il carosello del Sellaronda al Pordoi, concedendoci nei pressi del passo un paio di discese in più lasciato giù lo zaino dove ci siamo veramente sfogati su piste completamente libere tirando e aggredendo il pendio come degli invasati! Opinione personale: non c'è niente di più bello delle sciate di fine stagione, l'ultimo WE di apertura degli impianti, specie quando la neve è diventata "pappa" e rigorosamente con sci e scarponi da alpinismo che sono imbattibili per galleggiare su questo tipo di fondo e che fanno vincere i cumuli...provare per credere! Rientriamo al Pordoi dove dopo un'attesa di due anni veniamo accolti da un bel sole pomeridiano con quel paesaggio così noto e familiare e riviviamo quelle sensazioni così magiche che fanno di questo posto un posto unico.
Poche ma buone! Che sia un augurio per avere almeno una volta all'anno la possibilità di vivere questa magia da qui fino a che avrò abbastanza forze per scendere sci ai piedi dal Sella!

domenica 7 gennaio 2018

Quest'anno c'è neve!

Beh sì ormai lo si può dire, dopo anni di penuria di precipitazioni specie in Alpi Orientali quest'anno la dama bianca ci ha portato abbondanza. Visto che sono ormai mesi che non scrivo ho pensato di pubblicare un due righe e qualche foto sulle gite svolte nel periodo natalizio...Purtroppo il 2017 nonostante una partenza folgorante con la Gola Nord-Est allo Jof Fuart e 3 giorni magici in Valgrisenche è stato ancora un anno magro di alpinismo, non del tutto magro di montagna in quanto tra passeggiate, una scappata nel gruppo del Bernina e un tentativo al Picco dei Tre Signori, sì qualcosa è stato fatto, ma un pò di amaro in bocca per le possibilità e le occasioni che non sono arrivate e che non sono state sfruttate c'è. Però dal 29 Dicembre al 5 Gennaio ho infilato 6 uscite e più di 5000m di dislivello, il che costituisce una buona base di partenza per la stagione scialpinistica, sperando ora di riuscire a stare sul pezzo. Di seguito alcune immagini delle uscite, in ordine di apparizione: Monte Matajur con Paolo da Montemaggiore (crosta portante e sciabile), Sentiero del Pellegrino al Monte Lussari con Riccardo (discesa su pista Di Prampero), Cima Manzon con il gruppo di capodanno in Val Visdende (caldo e crosta quasi insciabile), Monte Matajur finalmente con Andrea da Montemaggiore (super polvere!), Monte Sief da Corte (Livinallongo) con Andrea e Silvia, (crosta e polvere), Piccolo Settsass dal castello di Andraz con Andrea, Silvia e Umberto (polvere).
Cima del Matajur dal Rifugio Pelizzo
I Gruppi dello Jof Fuart e Jof di Montasio dalla cima del Monte Lussari
Panorama della Val Visdende da Malga Manzon
Polvere dalla cima del Matajur, sullo sfondo il mare Adriatico
Il Gruppo del Sella sul paese di Arabba dalla cima del Monte Sief
Vista sulle cime Ampezzane e Sass de Stria dalla sella tra Settsass e Piccolo Settsass